Love Me. Per sempre (vol 3) Read online

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  «Che c’è? Che c’è di così divertente?»

  «Niente», mi affretto a dire.

  «Mi stai prendendo in giro?» Adesso ha gli occhi spalancati.

  «No, perché dovrei?» rispondo in tono innocente. Ho ripreso il controllo.

  «Okay», agita l’indice davanti alla mia faccia, «perché io me ne accorgo sempre quando non mi prendono sul serio.» Il suo tono di voce si è fatto così odioso che quasi mi fa venire la pelle d’oca. «Ed è davvero l’ultima cosa che mi serve», sbraita ancora. «Sono una modella io.»

  Non mi aspettavo questo repentino cambio di umore, perché di fondo non le ho fatto niente. Anzi, ho guardato le sue foto e ho provato a interessarmi. È stata lei a prendere in giro il lavoro dei miei sogni, prima.

  La serata per me si chiude qui, perciò torno a essere me stesso. «Pensavo che dovessero ancora scoprirti», ribatto senza trattenere un sogghigno.

  Lei sbuffa inorridita. «Non ho intenzione di restare qui ad ascoltarti», ringhia. «Nella mia vita ho bisogno di persone che credano in me, non di uno stronzo con una personalità tossica.» Detto questo, afferra il cellulare dal tavolo, si alza ed esce.

  Scuoto la testa, incredulo. Che uscita di scena. Che serata sprecata. Questo è il quarto appuntamento nelle ultime due settimane che va a finire male. Mi avvicino il mezzo gin tonic di Sarah e chiedo il conto. E mentre bevo prima il mio e poi il suo drink, cancello l’app di incontri dal cellulare. Quando è troppo è troppo.

  3

  Amy

  NAVIGANDO sul web mi imbatto spesso in riviste e blog, in genere con sfondi rosa, che consigliano alle lettrici di prendersi del tempo per sé. Una pausa per ascoltarsi. Le proposte più gettonate sono un bel bagno pieno di schiuma, con un bicchiere di champagne e della musica in sottofondo, una giornata alla spa con le amiche, oppure un film sul divano. A volte mi chiedo cosa non vada in me. Perché restare a mollo in una vasca da bagno fino a farmi venire le grinze sulle dita mi sembrerebbe solo una grossa perdita di tempo.

  Non ho molto spesso il lusso di una serata libera, da riempire con del «tempo per me». E comunque «ascoltarmi» sarebbe l’ultima cosa che vorrei, anche in giornate come questa, in cui sento di aver bisogno di rilassarmi. Per me il relax è una cosa un po’ diversa, consiste soprattutto nel dimostrare a me stessa di essere del tutto normale, possibilmente senza neonati in braccio.

  Per questo sono seduta qui, al bancone del Vertigo, un locale dove venivo ai tempi dell’università. Entrando si viene accolti da una calda nuvola di vapori alcolici, e la musica, le risate e le chiacchiere a voce alta della gente si mescolano in una confusione indistinta. Nella penombra, il locale e tutti i clienti che sono qui questo venerdì sera, probabilmente per rilassarsi dopo una lunga giornata, diventano immagini sbiadite, e io ho proprio quello che desidero: confusione e anonimato.

  Davanti a me, sul bancone scuro e così lucido che ci si può quasi specchiare, c’è un gin tonic – con un cetriolo e niente limone – che sto mescolando con la cannuccia. I cubetti di ghiaccio tintinnano l’uno contro l’altro.

  Lo sorseggio e sento allentarsi lo stress della settimana. Andare in un bar e aspettare di vedere dove mi porterà il resto della serata non è una cosa che faccio, di solito. Ma circa ogni due mesi mi viene voglia di uscire, di prendere parte alla vita notturna, e talvolta, se mi va, di spegnere il cervello. Per quanto posso, perché Dio solo sa che la mia vita è già abbastanza complicata e non sempre ho la possibilità di scendere a compromessi.

  Adesso però mi godo semplicemente questa atmosfera rilassata. Osservo il barista preparare i drink e mi guardo intorno. Alle pareti del locale sono appese delle targhe di metallo, alcune vengono da vecchie auto, altre hanno sopra citazioni di qualche celebrità, o motti di spirito. Immagino di far parte di qualcuno di questi gruppetti di studenti, che sembrano non avere una sola preoccupazione al mondo. Le risate e le grida allegre si uniscono in un sottofondo sonoro, e la mia attenzione si sposta su un tavolo nei pressi dell’entrata. Ci sono due tizi che si sono sfidati a una gara di bevute, e stanno cercando di mandare giù le rispettive birre alla goccia. I loro amici li incitano e battono le mani sul tavolo a ritmo. Una volta avrei alzato gli occhi al cielo e guardato altrove, ma sto imparando a non giudicare gli altri dalle prime impressioni. Se è così che si divertono, perché non dovrebbero farlo?

  «Ciao», dice una voce accanto a me, e io distolgo lo sguardo dal gruppo di studenti.

  Appoggiato al bancone c’è un gigante biondo, probabilmente uno dei giocatori di football che hanno avuto una borsa di studio sportiva dall’università di Pearley. Sembra molto giovane, avrà diciott’anni al massimo.

  «Ciao», rispondo.

  «Oggi è il tuo giorno fortunato», ammicca lui.

  «Ah sì?» Mi sforzo di essere cordiale, ma allo stesso tempo non voglio incoraggiarlo e riduco il contatto visivo al minimo. In ogni caso è troppo giovane per me, sono la tutor di un sacco di ragazzi della sua età e ho venticinque anni, quindi direi proprio che sono off limits.

  «Sì», risponde lui imperturbabile, «perché è il giorno in cui hai incontrato me.»

  Mi posa speranzoso una mano sulla coscia, ma io la scosto, con cortesia e fermezza. Anche il contatto fisico per me è off limits.

  «Mi dispiace», replico offrendogli il mio sorriso compassionevole, che so essere in grado di soffocare qualsiasi istinto di natura sessuale. «È senza dubbio molto bello averti incontrato, purtroppo però non sono interessata.» Il rammarico nella mia voce è sincero, l’ultima cosa che voglio è ferirlo.

  «Sei sicura?» chiede lui. «Non te ne pentirai.»

  Mi sfugge una risatina. «Può darsi, ma devo comunque rifiutare.»

  «Mmh, okay. Peccato!» esclama lui prima di andarsene. Sento uno scoppio di ilarità generale quando fa ritorno al suo tavolo.

  Non posso evitare di sorridere. Poverino. Ha raccolto tutto il suo coraggio per poi abbordarmi con la frase fatta più vecchia del mondo, incassare un rifiuto e infine essere preso in giro dai suoi amici. È davvero un mondo crudele.

  «Sei stata molto carina.»

  Alzo lo sguardo. Alla mia destra c’è un tizio appoggiato al bancone, in attesa del suo drink, a quanto sembra.

  «In che senso?» chiedo.

  «Voglio dire che gli hai spiegato in maniera molto carina che non sei interessata. Meglio così che sentirsi rifilare qualche scusa.» Strascica un po’ le parole, il che mi suggerisce che abbia già bevuto un bel po’. Sembra avere la lingua pesante, ma la sua voce è piacevole, piena e profonda.

  «Mi chiamo Sam.»

  Lo guardo e tutto a un tratto mi accorgo che ha un’aria familiare, con quei capelli castani ondulati che gli ricadono sulla fronte. Sam… Sam… Sam… Non riesco a metterlo a fuoco, ma forse mi sbaglio, è solo l’effetto della sicurezza di sé che spesso emanano gli uomini consapevoli di essere attraenti. D’altra parte ne ha anche la gestualità tipica: si passa la mano tra i capelli, si appoggia con noncuranza al bancone…

  «E tu sei?» chiede con un sorriso, voltandosi verso di me. Non rispondo subito, perciò lui aggiunge: «Oh no, non dirmi che mi attende lo stesso destino di quel gigante!» Si porta la mano al cuore con un gesto teatrale, come se provasse dolore.

  «Scusa! Mi chiamo Amy», dico ricambiando il sorriso. Questo tizio potrebbe fare al caso mio, perciò abbasso subito gli occhi e prendo un sorso di gin tonic. Non che non sia in grado di sostenere il suo sguardo, ma l’esperienza mi ha insegnato che agli uomini piacciono questi gesti timidi e femminili. Più trasmetto loro l’idea della conquista, prima otterrò quello che voglio. E visto che per entrambi questo è un gioco, gli do ciò di cui ha bisogno.

  «Come va, Amy?» Mi piace che pronunci il mio nome. E che mi faccia una domanda, anche se so che in realtà non gli interessa affatto la risposta.

  «Bene, grazie per avermelo chiesto. E tu?» Giocherello con l’elastico che ho intorno al polso.

  «Molto meglio, ora che ho trovato qualcuno di interessante con cui chiacchierare», dice lui curvando l’angolo sinistro della bocca in un sorrisetto ammiccante, che di sicuro non manca mai di ottenere il suo effetto. Quindi è proprio un tipo così. Mi chiedo se gli piaccia essere un po’ sfidato.

  «E come lo sai che sono una persona interessante con cui chiacchierare?» chiedo, aspettandomi un primo complimento come risposta. Non ho ancora deciso se lo accetterò e gli renderò le cose facili, o se lo lascerò appeso ancora per un po’.

  «Hai appena rimbalzato un ragazzo in maniera molto simpatica, il che vuol dire che capisci le persone. Non so se l’hai fatto spontaneamente o se era una mossa calcolata, ma trovo entrambe le ipotesi interessanti.»

  Come? La sua risposta mi lascia di stucco, e lui pare accorgersi di avermi sorpresa, perché sorride soddisfatto. E io noto che ha dei bellissimi denti.

  «Aaaah», dice. «Pensavi che volessi abbordarti così, come capita. Be’, devi sapere che quando ci provo con qualcuno, ho sempre una strategia.»

  È bravo. Molto bravo. Lievemente presuntuoso, ma con un fascino cui è difficile sottrarsi.

  «Cosa ti porta qui?» chiede, riportando la conversazione su binari innocenti.

  «Ho avuto una settimana piuttosto stressante.» In realtà vale per tutte le mie settimane.

  «Ti va di raccontarmela?» chiede lui, guardandomi con i suoi occhioni color caramello.

  Quasi mi va di traverso il drink. Mi ha davvero chiesto di raccontargli la mia settimana? Di solito sono io quella che si interessa di cosa fanno gli altri, e in genere ci rimedio anche delle rispostacce. Sam ha inarcato le sopracciglia, il che dona al suo viso un’espressione sincera che è davvero sexy. Le prova davanti allo specchio? Sembra così naturale. Ma sono sicura che sappia benissimo che effetto ha sulle altre persone.

  «Non credo siano cose che vuoi sentire», dico con un gesto noncurante della mano.

  «E tu come fai a
sapere che cosa voglio o non voglio sentire?»

  Perché so che vuoi soltanto flirtare e ribadire la tua irresistibilità. «Perché è venerdì sera e di sicuro anche tu sei già sufficientemente stressato.»

  «Ma voglio saperlo lo stesso», insiste lui, bevendo un sorso della sua birra. «Cosa è andato storto nella tua settimana?»

  Le mie labbra si curvano in un involontario sorriso. «Va bene, visto che insisti», rispondo, «sappi che ho una scrivania sommersa di scartoffie da sistemare, mentre mi farebbe molto comodo avere più tempo per occuparmi delle cose importanti. Faccio l’assistente sociale e preferirei andare a trovare più spesso la gente. Questa settimana sono riuscita a far visita soltanto a una delle persone che seguo, peraltro un caso problematico, perché non riesco a trovargli un lavoro. Non posso andare a vedere come stanno gli altri perché sono incatenata alla scrivania, a redigere protocolli, compilare domande e così via. È frustrante, anche se so che è necessario.» Mi fermo un istante per controllare se Sam si sia già pentito di avere chiesto, ma sembra molto interessato, perciò continuo. «Uno dei nostri sostenitori probabilmente ritirerà i suoi fondi, anche se sono settimane che gli chiedo in ginocchio di non farlo, perciò dovrò tagliare i costi da qualche parte. E poi c’è un mio amico che si accolla fin troppo lavoro, ha anche una certa età, e sta annegando nello stress, ma non vuole che lo aiuti.» Faccio un bel respiro. È sorprendente quanto mi faccia bene dire queste cose ad alta voce. Cerco di riprendere un po’ il filo del discorso. «Oltre a questo, devo assolutamente sgridare una ragazzina di cui sono responsabile, perché ha saltato la lezione di educazione fisica a scuola.»

  «Wow! Direi che hai avuto una settimana davvero difficile», commenta Sam. «È successo anche qualcosa di positivo?»

  Alzo la testa e lo guardo dritto negli occhi. Continua a fare domande. Incredibile.

  Visto che non rispondo subito, aggiunge: «Prima che mi sgridi di nuovo: sì, voglio saperlo, altrimenti non te l’avrei chiesto».

  «Okay?» faccio, un po’ incerta. «Alla mia pianta di banane sono spuntati due rami nuovi, che ho trapiantato in due vasi. Ho pagato tutte le bollette e ho letto il primo volume della saga di Harry Potter.» Evito di menzionare che il libro l’ho letto ad alta voce insieme a Jeannie, la bambina che ho in affido e che stasera sta da suo fratello Rhys.

  «E ti è piaciuto?»

  Non riesco nemmeno a ricordare quando è stata l’ultima volta che ho parlato di me stessa. Mi piace. Mi sento presa sul serio. «L’ho trovato fantastico.»

  «Se vuoi sapere la mia opinione, il migliore è il terzo», dice Sam sorridendo. «Ti piacerà sicuramente.»

  Mi schiarisco la gola. Il piacere che provo nel vedere l’interesse di questo tizio per me non è normale.

  «Ma dimmi, Amy…» Il modo in cui pronuncia il mio nome mi fa venire la pelle d’oca. Riprendo a giocherellare con l’elastico. È come se tutto il locale stesse vibrando. «Perché una donna così giovane e attraente se ne sta da sola in un bar?»

  È tornato in modalità flirt. «E tu perché sei qui da solo di venerdì sera?» chiedo con un po’ di sfacciataggine.

  «Oh, non ero da solo», risponde lui, e sul suo bel viso vedo delinearsi un ampio sorriso. «Avevo un appuntamento. Indimenticabile.»

  «Ed è già finito?» chiedo.

  «Be’… non eravamo sulla stessa lunghezza d’onda, al contrario di noi due.» Si accosta un po’ a me.

  «E come lo sai che siamo sulla stessa lunghezza d’onda?» chiedo. Non voglio rendergli le cose troppo facili.

  «Perché stiamo parlando da cinque minuti e non mi hai ancora fatto vedere una foto delle tue tette rifatte», dice lui, come se fosse la cosa più normale del mondo.

  «Vedo che hai alte aspettative su questa conversazione.» Ricambio il suo sorriso e mi rendo conto di essere sincera.

  Ho appena preso una decisione: inviterò Sam a casa mia. E se interpreto bene il suo sguardo, credo non abbia nulla in contrario. Devo solo spiegargli con cautela che ci sono delle regole.

  «Ti va di andare da qualche altra parte?» chiedo. Rimane sorpreso dalla mia domanda, me ne accorgo.

  «Cosa proponi?» mi domanda con un’espressione furba ma eloquente.

  «Vorrei rilassarmi un po’», dico esitante.

  «E posso aiutarti a farlo?» indaga Sam. «Di solito come ti rilassi?»

  Mi riesce sempre un po’ difficile essere così diretta, ma ho imparato che è la cosa migliore da fare. «Facendo sesso.»

  Restiamo in silenzio per un momento, Sam mi guarda negli occhi, come per capire se c’è una trappola.

  «In questo posso aiutarti», considera infine con una risatina.

  Ma saprà farlo anche a modo mio? «Ti va di seguire le mie regole?»

  Lui spalanca gli occhi, ma non sembra spaventato. «Direi che dipende da che regole sono», risponde avvicinandosi ancora un po’.

  «Devo sempre avere il controllo.»

  «Non c’è problema.»

  «E non mi piace molto essere toccata.»

  4

  Sam

  QUESTA serata ha preso una piega inaspettata. Sono passato da un appuntamento andato male a un flirt insperato, che si è trasformato in un’altrettanto insperata avventura di una notte. Avevo appena cancellato l’app di incontri e stabilito che era ora di mettere ordine nella mia testa e nelle mie emozioni, ed ecco che le cose hanno preso a girare per il verso giusto.

  Tra l’altro questa potrebbe non essere una semplice avventura, ma qualcosa di nuovo e interessante. Le sue regole.

  Mentre andiamo al suo appartamento, cerco più volte il contatto fisico con Amy. Le prendo la mano, che è calda e morbida, ma lei la ritira. Quando svoltiamo nella sua strada provo a metterle una mano intorno alla vita e ad attirarla a me per baciarla, ma lei ride e mi spinge via.

  Adesso sta aprendo la porta di casa e io me ne sto qui in piedi, con le mani nelle tasche, senza sapere bene cosa fare. Lo sguardo mi cade sul suo sedere, fasciato dai jeans aderenti e meravigliosamente tondo e pieno. Mi avvicino per abbracciarla da dietro, vorrei farla voltare, baciarla, e metterle le mani sul sedere.

  Ma proprio in quel momento la serratura scatta e lei entra nell’appartamento buio.

  «Ti dispiace toglierti le scarpe?» mi chiede. «Oggi ho passato l’aspirapolvere.»

  Faccio come mi ha detto, e mi libero delle scarpe di pelle marrone, un po’ consumate.

  «Vuoi bere qualcos’altro?» chiede Amy, e io mi accorgo solo adesso che quando pronuncia la lettera s sibila leggermente tra i denti. Normalmente non lo noterei nemmeno, ma qui, nel silenzio di questo appartamento, percepisco ogni dettaglio con maggiore intensità.

  «Certo, volentieri», rispondo, e la seguo in un lungo corridoio.

  Mi fermo davanti alla porta che dà sulla cucina abitabile, mi appoggio nel mio migliore stile James Dean allo stipite e osservo lo scenario che ho di fronte. È una stanza grande, illuminata da una fila di lampade industriali appese a dei cavi neri sopra un grande tavolo di legno chiaro. Su un lato, tutta la parete è occupata dall’angolo cottura, con il bancone grigio scuro e i pensili bianchi. Davanti alle enormi finestre alte fino al soffitto c’è un notevole assortimento di piante in vaso.

  Amy prende una bottiglia di vino bianco dal frigo, versa due bicchieri e spegne di nuovo la luce, in modo che la stanza sia illuminata soltanto dai lampioni all’esterno. Si avvicina a me, ma senza nemmeno sfiorarmi. Io sorrido nel buio, perché, nonostante la mia esperienza di situazioni del genere, tutt’altro che trascurabile, mi sento stranamente fuori posto.

  Si può a buon diritto dire che sono piuttosto esperto di appuntamenti, molti dei quali – soprattutto negli ultimi tempi – sono finiti in camera da letto. Ma non ho mai conosciuto nessuna come Amy. Mi affascina la sicurezza con cui si muove e lo scarsissimo spazio di manovra che mi lascia. Devono essere queste le regole di cui mi ha parlato.

  La sua camera da letto è arredata nello stesso stile moderno della cucina. Sopra il letto matrimoniale c’è un grande quadro astratto, con puntini multicolore e ampie pennellate, di cui a un primo sguardo non colgo il senso. Dopo pochi secondi in quel caos vedo una folla danzante, poi una strana faccia, infine i miei occhi si convincono di scorgere un volto di donna, e io distolgo lo sguardo prima di cominciare ad analizzare ciò che il mio cervello mi sta suggerendo.